
Franco Acri – Architetto per vocazione, poeta per necessità

Quartiere dell'anima
Il filo e la pietra
Franco Acri
A mia madre, custode del quartiere e della memoria
Prefazione d'autore
Sono nato in un piccolo quartiere
della Calabria, stretto tra la pietra e la luce, dove ogni casa sembrava avere
un'anima e ogni volto una storia da raccontare.
In quelle stradine ho imparato il valore del tempo, il ritmo dei gesti quotidiani,
la forza silenziosa dei legami. C'era una comunità semplice, fatta di sguardi
che si incrociavano, di porte socchiuse, di voci che si chiamavano da un
balcone all'altro. Era il mondo intero, e non lo sapevo ancora.
Poi la vita mi ha portato lontano.
L'università, il lavoro, altri orizzonti mi hanno accolto, ma dentro di me è
rimasto intatto il respiro di quel quartiere. A volte mi basta una pioggia
improvvisa, un odore di terra, un silenzio pomeridiano per ritrovarlo. È lì che
ritorno, ogni volta che scrivo: tra le case di pietra, la fontana, le ombre dei
miei cari.
Queste poesie nascono da quel
ritorno interiore.
Non sono un semplice omaggio alla memoria, ma un dialogo con ciò che resiste:
le voci, i luoghi, gli affetti che continuano a vivere in chi li porta dentro.
Il quartiere è diventato, nel tempo, una geografia dell'anima. Le sue pietre
sono pagine, le sue ombre righe di un racconto che non finisce mai.
Scrivere di quel mondo è stato
come cucire, con ago e filo, i lembi della mia identità.
Ogni verso tenta di trattenere ciò che il tempo disperde, di dare parola
all'assenza, di riconciliare la malinconia con la gratitudine.
Perché il passato non è solo un luogo da ricordare: è una forma di presenza che
continua a illuminare il presente.
A chi leggerà queste pagine,
auguro di riconoscere, tra i miei vicoli, anche i propri: le proprie case, le
proprie voci, la propria infanzia.
Perché ognuno di noi ha un quartiere dell'anima da cui non si parte mai davvero.
Poesie
Fili di speranza
Tesso fili di speranza,
contemplando la pioggia dalla finestra.
Per strada ruscellano i ricordi dell'infanzia.
Verso casa
È notte fonda.
C'è una lama di luna sopra i tetti
che rischiara appena queste viuzze,
accentuandone l'aspetto malinconico.
Accendo un'altra sigaretta e
allungo il percorso.
Legati da un filo
È rimasto il vecchio cavo
telefonico,
fissato ai cantonali,
a tenere unite le nostre case chiuse.
Quel cavo, che è stato per tutta l'infanzia,
l'insidia dei miei aquiloni.
Oggi sembra che abbia perso del
tutto le sue funzioni,
anche quella più emozionante,
del raduno delle rondini in partenza per la migrazione.
Rimarrà la nostra meridiana
segreta, mamma!
Io, in primavera, tornerò, in tua assenza,
a leggere quell'ombra.
Infanzia nascosta
In alcuni momenti
mi ritrovo a camminare
per i vicoli tortuosi dell'infanzia.
Su quei ciottoli che formano il
selciato,
separati qua e là da tratti di muschio verde,
provo un grande senso di serenità.
Mi lascio trasportare dai
ricordi,
di un tempo in cui tutto era possibile.
Inverno
Contemplo un paesaggio,
tutto da indovinare,
offuscato dalla nebbia.
Dove, persino il grande albero,
che sovrasta le case,
deve essere immaginato in questo scenario.
Così i miei pensieri nascosti
intrisi da queste nuvole basse,
prendono il volo.
Nel vociare natalizio
che apre le porte al flemmatico inverno.
Tutto, adesso, mi sembra
possibile
e come da bambino godo
della bellezza dell'attimo presente
senza porre limiti alla fantasia.
La mia sartoria
Tra ago e filo, mio padre
danzava,
gesti precisi, ripetuti con cura,
nell'odore delle stoffe, la magia svelava.
Macchine che cuciono racconti e
amicizie,
nel mondo artigiano, si intrecciano le voci.
Piccole cose, dettagli e
maestria,
trasformano tessuti in poesia.
Nel cuore persiste la nostalgia
del passato,
la sartoria chiude, ma il ricordo è intatto.
I legami cresciuti tra quei muri e quei giorni,
restano vivi nell'anima, come dolci melodie.
La fontana
Nel quartiere nativo, la fontana
mi richiama.
Ogni estate, torno a lavarmi, volti familiari e assenti sorridono,
nel cerchio dei secchi di latta, riflessi di giorni ormai lontani.
Rivoli che scorrono, come
frammenti di racconti muti.
Senza esitazione, mi immergo, l'acqua accarezza la pelle.
Un ricordo vivido mi attraversa,
nella fontana del quartiere, la storia si manifesta.
Ciao
Siamo aquiloni sgargianti
che dipingono il cielo
sotto i raggi del sole.
Il nostro destino:
un filo sottile,
una folata di vento.
Il balcone dell'infanzia
La mia primavera
sembra essere rimasta sul balcone dell'infanzia.
Sotto il balcone, un piccolo
giardino,
delimitato dalle case.
Dove mani sapienti aiutavano la natura,
nella sua esplosione di colori e profumi.
Di là delle case, di fronte al
balcone,
la macchia intricata e selvaggia,
che precipita fino al torrente.
Negli anni, tante primavere sbiadite.
Adesso vago per diverse
latitudini,
alla scoperta del mondo,
consapevole che su quel piccolo affaccio,
tra colori e vita,
ho conosciuto la felicità.
Intermezzi: Marzo – Maggio
Marzo
Il sole disegna l'uscio.
Nostalgia
di quelle geometrie proiettate,
uguali negli anni.
Mamma,
l'allungarsi di quelle ombre
possa godersele.
Maggio
Cucio con pazienza le ferite
di questo quartiere muto.
Nei miei occhi, tutti voi
assenti,
siete stelle cadute e spente.
E vado avanti, ricamando il
tempo,
tra squarci di sereno e temporali intermittenti.
Luoghi dell'infanzia
Dentro i tuoi occhi:
c'è un aquilone bambino,
una trottola ubriaca,
uno spago annodato,
un quartiere popoloso.
Dentro i tuoi occhi,
i ricordi e i sogni
di un bambino invecchiato.
Dove termina la proiezione
Da un comodo divano
mi rivedo ragazzo,
seduto dove finisce la proiezione
della ringhiera del ballatoio,
nel ritmo obliquo del ferro
che taglia la luce del mattino.
Gocciola lenta l'acqua della
fontana,
tra le righe di un giorno qualunque,
mentre il mondo si affanna
e io, tra pagine ingiallite,
scritte con inchiostro e fango,
scopro, tra voci ruvide e mani vuote,
la povertà della valle del Fucino.
Il vecchio orologio
Ho messo in funzione il vecchio
orologio.
Nel quadrante si riflettono sorrisi e assenze.
Ricordi che danno un senso a queste sfere
che non attendono e non si affrettano.
Ho sul polso il vecchio orologio.
Lo guardo, non è più un semplice strumento
per misurare il tempo.
Mi addormento con il vecchio
orologio
e sento il battito di chi da tempo
ha finito la carica.
Il silenzio
Muti gli usci, malsani.
Curvi gli architravi, pericolosi, collassati.
Gonfi i muri, polvere tra le pietre ormai.
Macerie i coppi.
Questo è oggi l'affresco.
Questo è lo scorcio.
Tanta la pena…
Tornare?
È tardi, troppo tardi.
Dopo di Lei, tutto è perduto.
Casa natia
Dalla finestra scorgo lo slargo
muto e lercio.
Come sempre, alzo gli occhi
verso il tuo balcone,
corde stanche di aspettare…
Malinconicamente chiudo l'imposta
pensando che di noi nulla resta.
Il ballatoio vuoto
Non ho voglia di tornare
là dove le case restano chiuse
e l'erba ramifica la pietra,
tra un formichiere e un sanpietrino.
Dalle mura scrostate cadono
leggere le pietre.
I vicoli tacciono,
la fontana tace,
ma i ricordi scorrono vivi.
L'infanzia sboccia ancora
dagli usci familiari,
indelebile come i volti
dietro le imposte serrate.
Mi siedo sul ballatoio,
di mio nonno, di mio padre,
ora di nessuno.
E immagino una folla di passanti
che continua ad abitarmi:
nel cuore, nell'anima.
Il nostro aquilone
Tace il largo.
Le pietre non parlano più,
murate nel fiato delle case
come vecchi silenzi familiari.
La fontana ha smesso di piangere,
ma i ricordi restano:
sbiaditi,
come stampe stanche
che non vogliono sparire.
Nel supportico,
dove il cielo ci sorprendeva
tra una rincorsa e una caduta,
c'è ancora la porta di Enzo.
Sotto le travi nodose
di vecchio castagno,
rifugio di pioggia e di risa,
vivono le ombre leggere
dei nostri giochi interrotti.
Enzo: alto, snello,
una silhouette chiara contro il cielo,
gentile come certe mattine di maggio,
con il sorriso che arrivava prima di lui.
Oggi è lontano,
ma ci sentiamo a tratti,
per ricordare,
per promettere ritorni
nel luogo dove l'infanzia
non ha mai smesso di crederci.
Un giorno mi ha mandato un video:
un aquilone volava.
Il nostro.
Fatto di canne, carta, e amore paziente.
Ed era tutto lì, il nostro mondo leggero,
a pochi metri dal cielo.
la primavera è ancora lunga,
e con le rose,
torneranno anche gli aquiloni.
I nostri.
A scrivere nel vento
le promesse mai dimenticate.
Comare Assunta
L'ultimo baluardo è caduto,
silenzioso,
sul piccolo palcoscenico della sua vita.
Un mondo sospeso tra ricordi e giorni pigri,
tra un sorriso sincero e una porta sempre aperta.
L'ho sempre vista lì, su quel
piccolo ballatoio,
custode di un tempo lento,
dove il vicinato era famiglia, un abbraccio caldo.
Solidarietà, empatia, un cuore
aperto:
valori che ora sembrano un sogno ormai lontano.
Con lei se ne va un'epoca,
un'anima gentile,
che ci ha cresciuti con amore e onestà.
Un esempio per tutti,
che ci ha mostrato il vero senso della comunità.
Le porte ora sono chiuse, i
sorrisi spenti,
ma i dolci di Natale restano un ricordo vivo.
Quel muro parlava, un ponte tra le case;
ora c'è solo il silenzio, un vuoto che brucia.
Porto il quartiere nel cuore, un
tesoro prezioso,
e il tuo insegnamento, comare Assunta.
Riposa in pace, ultimo baluardo
del mio mondo:
la tua assenza è un dolore, ma il tuo spirito vive.
In ogni sorriso, in ogni gesto di gentilezza,
tu sei presente, per sempre.
Una sorella
Più volte ho rischiato di
perderla,
ombra sfuggente, stella lontana,
ogni volta più vicina al precipizio,
ogni volta trattenuta da un filo sottile.
Oggi siamo rimasti noi due,
radici profonde della nostra famiglia,
uniti da un legame che sfida il tempo,
un desiderio di vicinanza mai domato.
Ma nuovi ostacoli si affacciano,
ci tengono legati al filo di una chiamata,
le parole si intrecciano, ci sostengono,
ci danno la forza di continuare a lottare.
Una sorella, un universo intero,
un luogo sicuro dove non esistono dubbi,
un rifugio di amore e comprensione,
dove le differenze si annullano nell'indissolubile bene.
Diversi, ma uniti da un amore
eterno,
la tua presenza è il mio ancoraggio,
insieme affrontiamo il vento e la tempesta,
con la certezza che mai ci perderemo.
Nota critica
di lettura a "Quartiere dell'anima. Il filo e la pietra" di Franco Acri
In Quartiere dell'anima. Il filo e la pietra, Franco Acri torna nei luoghi della propria infanzia per ricostruire, con voce limpida e partecipe, la geografia intima del ricordo. Le sue poesie non descrivono soltanto un quartiere di case e viuzze, ma un territorio dell'anima, dove il tempo si sedimenta come calce fra le pietre e ogni oggetto quotidiano — un cavo, una finestra, un balcone, una fontana — diventa custode di affetti e presenze.
Il filo, nella poetica di Acri, è simbolo costante: quello che lega, cuce, ripara, unisce generazioni e luoghi. È il filo che il padre manovra nella sartoria, che l'aquilone teme, che ancora tiene insieme le case chiuse del paese. E accanto al filo, la pietra — materia della memoria, corpo del quartiere, custode silenziosa delle assenze. Fra questi due elementi si muove la scrittura di Acri: concreta e lieve, costruita con la precisione dell'architetto e la delicatezza del poeta.
C'è, in queste pagine, una
malinconia che non indulge mai nel rimpianto, ma si fa gratitudine. Ogni poesia
è una carezza data al passato, un atto di riconciliazione con ciò che è stato e
continua a vivere nel ricordo.
La madre, figura ricorrente e centrale, emerge come emblema della cura e della
memoria, custode di un mondo che lentamente svanisce ma non si spegne mai.
Quartiere dell'anima è
un libro sulla resistenza della memoria e sulla tenerezza
del ritorno.
È la testimonianza poetica di chi ha imparato che la vera casa non è un luogo,
ma un battito che continua a vibrare dentro, come un'eco antica, tra il filo e
la pietra.
Giò

Franco Acri – Architetto per vocazione, poeta per necessità
La mia storia inizia in Calabria e mette radici a Napoli, città che mi ha accolto per gli studi e che ho imparato ad amare. L'Istituto d'Arte, prima, e poi l'Università, mi hanno insegnato a dare forma alla materia. Ma presto ho capito che c'è una materia ancora più urgente da plasmare: il pensiero. Scrivo per non dimenticare, per lasciare tracce, per ricucire i fili dispersi dell'esistenza. Ogni poesia nasce da un gesto, un incontro, una crepa nel tempo. Credo in una memoria che non si affida ai libri, ma si deposita nelle pieghe dell'anima: nel pane impastato ogni giorno, nello sguardo rivolto a un albero caro, nel silenzio che abita una stanza ormai vuota. Architettura e scrittura non sono mondi separati, ma due facce dello stesso impegno: costruire. Se l'architettura modella lo spazio, la poesia mi consente di denunciare le contraddizioni, di esplorare ciò che non trova posto nelle geometrie. La professione mi ha insegnato a progettare luoghi; la scrittura, invece, mi affida un compito più intimo: custodire il tempo. Architettura e poesia sono, per me, due modi complementari di dare forma al mondo: l'una vincolata dalle leggi della materia, l'altra libera di attraversare le verità interiori. In questo spazio – il blog – mi concedo la libertà dell'esplorazione: parole che resistono, e silenzi che sanno ancora dire.
Presentazione di "VERSI LUZZESI"
In questa raccolta di poesie, l'autore dimostra un'incredibile abilità nell'osservare i dettagli, catturandoli e trasmettendoli con grande maestria. La sua scrittura scorrevole e melodica rende i versi non solo piacevoli da leggere, ma anche da ascoltare.
Informazione del libro
Edizione : 1a
Anno pubblicazione : 2024
Formato : 11,4x17,2
Foliazione : 60 pagine
Copertina : morbida
Stampa : bn

POESIE DISORDINATE
Blog
Poesie disordinate è una raccolta dove l'autore ci ripropone testi già pubblicati assieme a testi inediti. Diciamo subito che lo scopo della raccolta mira ad esprimere in versi sentimenti, dare sensazioni, richiamare quel qualcosa di estremamente intimo e riservato. I temi cari all'autore sono: l'amore, l'infanzia, l'amicizia, i luoghi, le assenze... Stilisticamente la comunicazione, fra testi pubblicati e inediti, sembrerebbe la stessa, ossia volutamente colloquiale, che descrive la quotidianità con una vena di malinconia. Una poesia semplice e concentrata sulle piccole cose concrete della vita, dove i versi continuano a non avere un ordine predefinito.
Presentazione di "FRAMMENTI DI UN MOSAICO"
"Frammenti di un Mosaico" è un'opera che invita alla riflessione, spingendoci a guardare dentro di noi e a interrogarci sul senso della vita. I versi, con la loro semplicità e profondità, toccano corde intime, lasciando nel lettore un senso di partecipazione e commozione. Ogni verso è un frammento di un puzzle più grande, un invito a costruire il nostro personale mosaico di emozioni e significati. Leggere questa raccolta è come intraprendere un viaggio alla scoperta di sé, un'esperienza che arricchisce l'anima e amplia gli orizzonti.
Informazione del libro
Edizione : 1a
Anno pubblicazione : 2024
Formato : 11,4x17,2
Foliazione : 32 pagine
Copertina : morbida
Stampa : bn

Presentazione di "RACCONTI BREVI"
Il libro è un'opera ricca di riflessioni e di emozioni. L'autore offre una visione personale dei cambiamenti che i luoghi subiscono nel corso degli anni, e riflette sul ruolo dell'amicizia, della morte e dell'amore nella vita.
Informazione del libro
Edizione : 2a
Anno pubblicazione : 2023
Formato : 11,4x17,2
Foliazione : 96 pagine
Copertina : morbida
Stampa : bn


TACCUINO OCRA
Un taccuino è molto di più di un semplice diario. In un taccuino c'è tutto quello che ci passa per la testa. Le pagine del mio taccuino raccolgono frammenti di vita quotidiana: riflessioni, assenze, dubbi, ricordi legati all'infanzia, amicizie, ecc. error sit voluptatem accusantium doloremque laudantium totam rem aperiam.

L'Ombra del Tempio
Architettura, Arte e Versi di Pietra e Luce
Autore: Franco Acri
Prefazione
C'è un luogo in cui la pittura si fa parola, e l'architettura si dissolve in emozione. È in questo spazio sospeso che nascono i versi di Franco Acri, dove la forma non è mai semplice rappresentazione, ma memoria viva, tensione e respiro. L'arte diventa linguaggio dell'anima, e la parola, a sua volta, costruzione di luce.
Per chi, come lui, vive da sempre immerso nella materia del costruire — la pietra, la linea, la proporzione — la poesia non è un altrove, ma una prosecuzione del gesto progettuale. L'architetto, come il poeta, modella lo spazio invisibile che separa la luce dalla materia. Ogni verso è una colonna, ogni pausa una campata, e la costruzione poetica diventa architettura dell'anima.
Questa raccolta è, dunque, il tentativo di trovare la proporzione tra il corpo e la memoria, tra l'ordine e il caos. L'architettura si trasforma in una grammatica poetica: dai solidi platonici e dai trattati di Palladio, alla pietra romanica di Bari che si illumina al solstizio, fino alle rovine di Sibari che parlano di radici. Acri osserva il mondo con occhi di costruttore e di viandante, cercando l'armonia tra vita e pensiero.
Accanto alle architetture reali si muovono quelle dell'animo: i templi interiori dell'amore e della memoria. L'arte visiva funge da soglia e da specchio, chiamando in causa maestri come Mantegna, Botero, Baj e Michelangelo per affrontare il dramma personale, la critica sociale e la ricerca etica. L'opera d'arte è il luogo dove il tempo si ferma e l'essere si interroga.
Il tono è quello di chi osserva, riflette e costruisce ancora — non con il compasso, ma con la voce. L'autore ricerca l'essenzialità, celebrando l'umile matita e la potenza di un segno che sa trascendere la parola. L'anima delle forme è un viaggio nell'interiorità dove il segno diventa voce e la struttura emozione.
Ne scaturisce un dialogo tra le arti e, soprattutto, un invito: ritrovare, dietro ogni costruzione umana, la possibilità di un'emozione vera e di una bellezza che non si lascia demolire. L'Ombra del Tempio è un atto di resistenza alla dimenticanza, un modo per abitare poeticamente il mondo.
Giovanna Buonanno
Sezione I – Architettura e Memoria
Proporzioni
Pensandoti…
l'architettura si fa musica.
Le costruzioni, semplici armonie geometriche,
in un cosmo di solidi platonici.
Sul tavolo, i quattro tomi del Palladio.
L'Uomo Project
Eccolo!
Con le volute in testa
e il portamento ionico,
che sgomita ottimismo.
Lo studio è una miniera di sogni,
mentre l'architettura corre su binari.
Nel fregio, una pellicola di burocrati
che commiserano sé stessi.
Tutto è ordine,
tutto è moneta.
Dissonanze
I tuoi tempi musicali
non erano in armonia
con la mia architettura.
Uno spartito molto ordinato, il tuo.
Polverosi i miei trattati…
che forse troppo spazio,
in quel momento,
hanno lasciato agli ismi.
Felice di averti incontrato.
Opus Sectile
Marmi rari e lastre sottili,
per le nostre pregiate tessere
dai cromatismi sfavillanti,
non hanno dato seguito all'intarsio:
nessuna figura,
nessuna geometria,
nessuna alchimia.
Un accostamento impossibile, il nostro.
Tetti e Rondini
Nelle ali delle rondini,
libertà sognata.
Hanno lasciato il nido e il vecchio casolare:
architetto e committenza,
insieme a lavorare,
in armonia,
un nuovo tetto da creare.
Vecchie capriate, intagliate con cura e passione,
smontate per far spazio a nuove creazioni.
Un'ascia, un tempo, ora una macchina in azione:
malinconia nell'anima,
nei cuori emozioni.
Nidi caduti a terra,
calcinacci da rimuovere.
Le rondini migrano leggere,
senza bagagli.
Noi umani, nell'accumulo, forse dovremmo scegliere:
ci serve tutto questo,
o sono solo travagli?
Antica capriata, simbolo di dedizione,
nell'arte e nell'umanità un legame profondo,
come il fuoco che consuma, senza distinzione:
vecchi maestri, artefici di un mondo.
Nelle rondini e nelle capriate riflessioni troviamo
sulla libertà,
sull'essenziale,
sul nostro cammino.
Nel cambiamento e nella passione che portiamo,
la bellezza dell'architettura:
un eterno destino.
Sotto il Rosone
Senza volerlo,
l'appuntamento era lì,
sotto il rosone che scruta il tempo
nella pietra chiara di Bari.
Solstizio d'estate.
Il sole, come da secoli,
trapassa i diciotto spicchi
del rosone scolpito,
e li posa — uno a uno —
sul suo riflesso in terra,
disegnato in lastre di marmo
nel pavimento della navata.
Una danza di luce e pietra,
precisa e sacra,
mentre noi —
mia moglie, mia figlia ed io —
con gli occhi in su,
ci lasciamo incantare
dagli archetti pensili,
dalle mensole abitate da grifi,
volti enigmatici,
leoni eterni che custodiscono il vuoto.
Siamo lì,
piccoli sotto un disegno eterno,
tra ombra e materia,
stupore e silenzio.
Così è iniziata
la nostra gita
nel cuore del romanico pugliese,
con la testa colma di luce.
La Chiesa che si fa Palazzo
Aspettiamo,
in uno slargo fermo nel tempo,
mentre lo smog graffia le grate
di finestre dimenticate,
nella curva stretta di un respiro.
Arrivano i committenti,
ci addentriamo nel ventre del tufo:
una cripta scura, scavata d'anima.
E poi lo scalone,
due braccia di pietra
che stringono il vuoto.
Nella navata ora vivono stanze;
solai di putrelle e tavelloni
provano a soffocare
l'eco delle preghiere.
Ma l'arco resiste,
le unghie della volta
ancora graffiano il cielo.
Ai lati, simmetriche presenze:
blocchi nuovi,
senza radici né storia.
Una scala a sbalzo si arrampica
sull'orrore della fretta,
sul disordine dell'uomo.
Ma poi, all'angolo, il miracolo:
si apre il Golfo,
azzurro sconvolgente,
bellezza che schianta,
che annulla il brutto,
che ci fa tacere.
Napoli è anche questo:
rovina e splendore,
ferita e incanto,
un bacio dato al caos.
Perdersi e Ritrovarsi
Cammino per la città,
confondendo l'ordine con il disordine.
Questo disordine barocco che il Fanzago
ha intrecciato nei vicoli, nelle piazze,
nelle chiese, nelle fontane,
dove ogni angolo racconta una storia segreta,
e ogni pietra nasconde un sogno.
L'armonia contrastata
di marmi bianchi e piperno,
di palazzi che sembrano respirare
tra Rinascimento e Barocco,
con i loro portali maestosi
che invitano il tempo a fermarsi.
Il mio camminare è un continuo divenire,
un incessante perdersi e ritrovarsi,
dove ogni cosa diventa il suo contrario,
un gioco di specchi tra passato e futuro.
Tra la folla disordinata,
tra i suoni e i silenzi di questa Napoli
che non smette mai di sorprendere.
Ogni passo è un atto di fede
in un ordine nascosto,
in una bellezza che sfugge
al primo sguardo,
ma che riemerge,
tra il caos e la luce,
in ogni angolo, in ogni volto,
in ogni momento che fugge via.
Napoli è un cuore che batte
tra le crepe del disordine,
e io, con i miei occhi curiosi,
cercando l'ordine nel caos,
continuo a camminare
in questo perpetuo perdersi
e ritrovarsi.
L'Ombra del Tempio
In certi momenti
mi scopro fragile,
un sistema trilitico,
disarmonico di fronte alla tempesta
che l'oggi impone.
Metope e triglifi
si susseguono, spezzati,
tremano sotto l'arco orgoglioso,
sotto volte che il tempo
ha saputo plasmare.
Il nostro amore è un tempio greco,
un'architettura ormai sbiadita,
dove gli ornamenti
vivono solo nell'immaginazione.
Eppure, l'ombra che proietta
è poesia intatta,
un gioco di luci e silenzi
che sulla terra racconta
ciò che il cielo ancora conserva.
Sezione II – L’Arte come Lente sul Dramma Umano e Storico
L'Urlo di Cristo
È un urlo,
il mio Venerdì Santo,
il suo dolore senza misura.
L'urlo greve di un disegno a carboncino
rimbomba tra le pareti del British Museum.
L'urlo di quel Cristo in croce, ancora vivo,
capace di smuovere le pietre di Gerusalemme.
L'urlo di un corpo possente
che, volendo,
spezzerebbe i chiodi che lo imprigionano.
L'urlo disperato
di chi chiede ragione al Padre
dell'abbandono.
L'urlo di un uomo libero, che sceglie.
L'urlo etico, immortale, di Michelangelo.
Mantegna, Maestro di Pietra
Nel marmo delle tele
si scolpisce il tempo:
linee diagonali e chiaroscuro
danzano in eterno.
Il classicismo si fa carne:
figure petrose, teatrali,
un mondo di rocce e di luce,
prospettiva che si apre in volo.
Tra cerchio e quadrato,
nella Camera degli Sposi,
sognano gli angeli affacciati
nel buio del tempo, nel silenzio.
Cristo giace, il tempo si ferma:
ombra e luce in un abbraccio eterno.
Il marmo parla, sussurra vita,
una poetica di pietra, senza fine.
Dentro l'Abbondanza di Botero
Roma, dove l'urbanistica si fonde con la storia.
Io, fuori al Palazzo Bonaparte,
osservo le grate: due stampe su tela,
la mostra fissata nel ferro.
Virginia e Beatrice scivolano nel tempo,
in taxi, verso il nostro incontro.
Mia moglie e mia figlia,
in fila per un frammento d'eterno,
attendono il Maestro.
Io, perso nel tridente della città,
sento echi di discorsi nefasti,
ombre di un passato che stride
con la bellezza rivoluzionaria.
Dentro, infine, il mondo si espande:
le mani del Maestro accolgono nudi abbondanti,
pennellate larghe, ombre lievi,
e tutto si allarga:
frutta, fiori, sogni, potere.
Un Cristo in croce, una Madonna col Bambino —
ecco la tradizione, ecco la denuncia —
la Colombia nella carne,
il peso della povertà e della guerra,
la corruzione gigante, palpabile.
Tra quelle tele, i codici di Giotto e Masaccio,
le proporzioni perfette dell'Umanesimo
si dissolvono in una narrativa
che non chiede misura,
ma un cuore aperto.
E alla fine del percorso,
scendendo i gradini,
lascio le stanze con un'anima piena.
L'arte non ha confini,
e le sue verità,
anche ingigantite,
diventano universali.
Generali di Baj Risorgono
Tra vetri rotti e memorie di carta,
i generali di Baj tornano in vita.
Non più su stoffe dipinte a olio,
ma in carne e ossa,
riportati in auge da un nuovo condottiero.
Salvini, nome che risuona come un'eco,
sventola la bandiera di un passato
che non vuole morire.
I suoi cannoni sparano parole d'odio,
frammentando l'Europa
con ideologie di un tempo.
Baj, maestro del collage e della satira,
ora osserva impotente questo teatrino grottesco.
I suoi generali, un tempo marionette ironiche,
ora sono marionette di potere,
mosse da un burattinaio cinico.
Pinelli, l'anarchico idealista,
vola via tra i frammenti di vetro,
cercando un rifugio in un museo illusorio.
Ma l'arte non può fermare l'onda nera che avanza,
non può svegliare le coscienze assopite.
Resta solo il silenzio assordante della storia,
che osserva impotente il ripetersi degli stessi errori.
E Baj, con i suoi generali deformi e grotteschi,
ci ammonisce: la memoria è fragile,
la libertà va difesa.
Perché quando i generali risorgono dai loro quadri,
è l'umanità intera ad essere in pericolo.
Gli Ultimi
Tra gli abissi, le bombe, le macerie…
sono l'immagine inerme
degli specchi di Pistoletto,
che si mescola
con la disumanità del presente.
La Mia Tempesta
Nel mulinare di lenzuola,
al ritmo del tuo respiro,
tutto si contorce davanti ai miei occhi,
che disperatamente cercano nuovi orizzonti.
In questa concitata espressione della realtà,
come Kokoschka, vedo la fine
del nostro devastante amore.
Demolizioni
Nella tela della propaganda si dipinge
un quadro in cui tutto vacilla, crolla,
come la dimora di Mario Mafai:
un'architettura di sogni, distrutta.
Sogni squadristi del passato riaffiorano,
ombre di un regime fascista,
spettri che danzano nel presente,
trascinando il Paese verso un futuro oscuro.
Sventramento della carta costituzionale,
sacrificata sull'altare delle ambizioni politiche;
i fasti di un nuovo imperialismo emergono,
mentre la democrazia viene erosa, erosa.
Ritorno a giorni cupi e feroci,
eco di una dittatura violenta e oppressiva:
un'ombra che si allunga sulla libertà,
mentre il popolo si sente prigioniero del destino.
Telegiornali dipingono un'immagine illusoria,
in un mondo di menzogne e apparenze,
come il sorriso di chi nasconde il dolore:
la realtà scompare dietro il sipario della propaganda.
Ma come Mario Mafai, io osservo
la demolizione silenziosa della democrazia,
nelle crepe che si aprono nell'edificio sociale,
dove le fondamenta della giustizia si indeboliscono.
Eppure resistiamo, come foglie al vento,
testimoni di un'epoca che si sbriciola,
nella speranza che sorga la luce
oltre le macerie della nostra costruzione.
Ombra Crepuscolare
Sono triste, guardo la mia ombra,
che si materializza come le sagome
di legno di Mario Ceroli.
Prende vita: ne percepisco il profumo,
del legno appena tagliato.
Mi riconduce alle radici,
al fascino del suono del legno,
alla sua narrativa antica.
Oggi come ieri, mi porto
le tarme tra i pensieri
e lo scuro dei nodi,
tessendo storie di malinconia,
echi di tempi andati,
che risuonano sommesse
nel crepuscolo dell'anima.
Visioni Riflesse
Sotto un cielo grigio
osservo il mio quartiere.
Guardo l'insieme,
con l'età ho perso i dettagli.
Penso alle fotografie di Robert Doisneau:
momenti di condivisione e grande amicizia,
parole che sembrano uscire dall'otturatore
in una battaglia persa.
Vediamo sempre di più
con gli occhi degli altri.

Sezione III – L’Essenziale, la Linea, la Memoria
Matita
Sottile stelo di grafite e legno,
custode silenziosa di segreti,
tra le dita danzi con leggiadro segno
sulle pagine bianche,
come ali di farfalle inquiete.
Non come la penna, impetuosa e decisa:
la tua essenza è morbida e gentile,
un sussurro che accarezza la carta,
una promessa di parole che prendono vita
in un dolce fluire.
Ogni tratto è un'esplorazione dell'anima,
un viaggio introspettivo,
senza timore di sbagliare.
La gomma bianca, complice amica,
disarma i dubbi e le incertezze
con un tocco leggero.
Nella tua natura transitoria risiede la tua forza:
la capacità di mutare, di adattarsi al divenire,
un inno alla flessibilità che il tempo non percuote,
un invito a ricrearsi, a vivere senza freni.
Simbolo di libertà e di provvisorietà,
la matita insegna a non temere il cambiamento,
ad abbracciare l'imperfezione con serenità,
nella danza eterna tra il bianco e il nero,
tra il presente e il niente.
Ecco perché ti canto, o umile matita,
strumento di poeti e di sognatori:
la tua voce silenziosa incita l'anima
a lasciare un segno indelebile
sui fogli della vita.
L'Essenziale
Ah, se con poche parole
riuscissi a trasmettere le giuste emozioni!
Sarei come le bottiglie di Morandi,
che con pochi colori l'hanno reso poetico.
Il Segno
Tra i versi che riempiono la pagina
si perde il filo di ciò che l'arte insegue.
Le parole spesso si dissolvono nel vento,
mentre l'arte trascende, oltre il momento.
Con una linea, Miró parlava all'anima:
una lingua senza confini, senza dogma.
I suoi segni erano semplici, ma profondi,
contenitori di significati intriganti.
Gianfranco
Amico mio, oggi cosa si nasconde
nel tuo blocco di marmo?
Se dovesse celare il mio volto,
non ti preoccupare:
è solo perché mi manchi tanto.
Semplicemente,
Franco.
Mare Ionio
Neanche questo sole "impressionista",
che si riflette su questo svogliato mare,
mi allontana da te.
Tra le Rovine di Sibari
Dopo tanti anni, eccomi qui,
tra le rovine sepolte, dove il tempo
ha intrecciato storie e sogni di gloria,
in un'antica città che ancora respira,
sotto il peso dell'alluvione del Crati e del Coscile.
Il canto delle cicale accompagna i miei passi,
in questa calura d'agosto, tra le vestigia
che furono, prima greche, poi romane.
Mi perdo tra le vie dove la democrazia
ha forse seminato la sua fatica,
tra questi fiumi che portano via il passato,
ma non il ricordo.
In Calabria, tutti attendiamo un nuovo Pitagora,
un faro che guidi il nostro cammino.
Ma io, tra queste pietre antiche,
attenderei Pericle, con la sua saggezza,
a tessere ancora i fili della nostra identità.
Calabrese, nato nella valle del Crati,
sento dentro un orgoglio sottile,
come se queste rovine parlassero di me,
di un'eredità che scorre nelle vene,
di una civiltà evoluta, che vive ancora
in ogni sasso, in ogni passo.
Cupole Maiolicate
Chi lo sa se qualcuno di voi
se ne ricorda?
Io l'ho ripercorso con tanta nostalgia,
l'itinerario di quelle cupole maiolicate,
per quell'esame mai sostenuto.
Ho seguito l'esplosione di colore di quelle squame,
in lungo e in largo per la città:
quella fuori le mura,
quella angioina e aragonese,
quella greco-romana.
Stanco del cammino,
nei cromatismi di quelle formelle scintillanti,
riflesse dalla luce,
ho rivisto gli zaini colorati
e i nostri volti sorridenti.
Riflessione
Nel sol dell'esistenza dipingo memorie,
serenità camuffata, vita nei colori.
Accolgo il mondo con pennellate decise,
autoritaria danza, eterna trasformazione.
Luce che abbraccia, forza nel rinnovamento,
nel caleidoscopio dell'eternità
dipingere il momento.
Nota
"L'Ombra del Tempio: Versi di Pietra e Luce" non è solo una raccolta di poesie, ma un vero e proprio dialogo tra architettura, arte e vita. L'autore. trasforma il gesto progettuale in gesto poetico, creando una lingua unica in cui concetti come proporzione, campata, solido platonico e opus sectile diventano metafore dell'animo e delle relazioni umane.
L'opera si distingue per l'originalità tematica: l'architettura non è solo descritta, ma vive come metafora del mondo interiore e dei rapporti umani, come emerge chiaramente in versi quali "Il nostro amore è un tempio greco". La profondità culturale è evidente nella padronanza con cui l'autore intreccia riferimenti storici e artistici – da Palladio a Fanzago, da Mantegna a Michelangelo, da Botero a Baj – e luoghi iconici come il Rosone di Bari, Napoli e le rovine di Sibari, offrendo al lettore continui spunti di riflessione.
La Sezione II, dedicata all'arte, si trasforma in un potente strumento di critica sociale e politica: l'uso di Botero, Baj, Mafai e Pinelli permette di affrontare il presente con uno sguardo critico e di denuncia, denunciando il ritorno di ideologie e la lenta erosione della democrazia.
Non manca la sensibilità emotiva: i versi sull'amore ("La Mia Tempesta"), sull'amicizia ("Gianfranco") e sulla malinconia ("Ombra Crepuscolare") bilanciano la speculazione intellettuale e la riflessione filosofica. L'ode alla "Matita" eleva l'umile strumento a simbolo di libertà, provvisorietà e ricerca dell'essenziale, celebrando la creatività come atto vitale e libertario.
In sintesi, L'Ombra del Tempio è un'opera impegnativa e meditativa, che piacerà a chi cerca una poesia capace di fondere riflessione filosofica, critica artistica, sensibilità emotiva e denuncia sociale. È la voce di un costruttore e viandante, che cerca l'armonia in un mondo caotico e invita il lettore a fare altrettanto.
Il Pezzo GLV